domenica 26 dicembre 2010

Ventisette

Ho scovato un mio scritto di qualche tempo fa:

04/03/2009 h. 13:07

Oggi abbiamo fatto un discorso sulla fede. Per la verità hai parlato solo tu, io sono stata zitta. Non credere però che non stessi ascoltando, o che ci pensassi solo in maniera superficiale: lungi dal toccarmi tangenzialmente, l'argomento mi interessa, eccome. Io mi definisco atea, razionalista e materialista, e questo è noto ai più. L'approccio religioso mi è estraneo. Eppure le religioni mi hanno affascinata fin da quando ero piccola e continuano ad esercitare un certo ascendente su di me. Ai miei amici giustifico tutto con una battuta come «il nemico per combatterlo devi conoscerlo», ma non è del tutto vero. Non è solo questo, almeno. Perché io posso dare contro alle religioni – qualsivoglia siano – finché voglio, attaccarne lo spirito, riempirmi la bocca di Opium des Volks e quant'altro; ma il problema di fondo è differente, e molto più serio. Il punto è che qualcuno riesce a crederci, in un creatore. Chiamalo Dio, Allah, Jahweh, Geova, Zeus, Odino, Osiride, Brahman, Grande Spirito, Magna Mater, Anima del Mondo o come ti pare. E non è solo il popolino incolto a crederci, quindi non si può nemmeno giustificare ciò con la semplice ignoranza. Quel che io mi chiedo è: come si fa? Come si può? Se domandi a qualcuno «Perché credi in Dio?» la risposta quasi sicuramente sarà «Perché ho fede», non importa se a parlare sia un pastore del Tagikistan o un ingegnere nucleare norvegese. Ma che cos'è la fede? Come nasce, dove, e perché? Io non lo so. Ben lungi da chi afferma «L'ateo è caro a Dio perché lo cerca sempre», devo tuttavia ammettere che talvolta, amico mio, vorrei avere questa strana fede che tu porti con te. Un po' invidio la tua serenità, i tuoi occhi che brillano quando ne parli. Chissà, forse stai meglio tu che hai il tuo dio, rispetto a me che mi devo far bastare me stessa.

Ventisei

Sero te amavi, pulchritudo tam antiqua et tam nova, sero te amavi. Et ecce intus eras et ego foris et ibi te quaerebam et in ista formosa, quae fecisti, deformis irruebam. Mecum eras, et tecum non eram. Ea me tenebant longe a te, quae si in te non essent, non essent. Vocasti et clamasti et rupisti surditatem meam, coruscasti, splenduisti et fugasti caecitatem meam, fragrasti, et duxi spiritum et anhelo tibi, gustavi et esurio et sitio, tetigisti me, et exarsi in pacem tuam.

Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato. Ed ecco, tu eri dentro e io fuori e là ti cercavo, e sulle belle forme delle cose che tu hai fatto, io deforme mi gettavo. Eri con me, e io non ero con te. Mi tenevano lontano da te quelle cose che, se non fossero in te, non esisterebbero. Hai chiamato, hai gridato e hai rotto la mia sordità, hai brillato, hai sfavillato e hai dissipato la mia cecità, hai sparso il tuo profumo, ho respirato e anelo a te, ho gustato e ho fame e sete, mi hai toccato e ho bruciato nella tua pace.

- Agostino, Confessiones X, 27, 38 -


Ho approntato una traduzione sul momento (i miei superiori direbbero "sull'impronta", "sull'unghia" o "di servizio", e ormai sto cominciando ad usare queste espressioni anch'io), ma nulla può eguagliare l'incomparabile bellezza dell'originale. Il latino di Agostino è particolare, vibrante, emozionale ed emozionante, retorico e sfavillante - non per niente da un'oscura borgata dell'odierna Algeria era giunto alla corte degli imperatori di Milano, non senza essere passato per Cartagine e Roma - e nelle Confessioni queste caratteristiche si esprimono alla massima potenza. Vi si coglie tutto il tormento interiore dell'uomo che si riconosce peccatore, che è lacerato dalla dicotomia "desidero il bene e faccio il male", e tutta la meraviglia generata dall'incontro con la Bellezza. Poche frasi sanno commuovermi come sero te amavi, pulchritudo tam antiqua et tam nova, densa di stupore e malinconia che formano un intreccio inscindibile. Non è una questione di essere credenti o meno, non conta essere cristiani, islamici, ebrei, buddhisti, Hare Krishna, atei, agnostici o chissà che altro: le parole di Agostino esprimono sensazioni che tutti abbiamo provato, paure che tutti abbiamo conosciuto, contraddizioni che sono radicate nel profondo di noi stessi e che esprimono la quintessenza della nostra umanità. Quante volte ci sorprendiamo a pensare, anche noi, tardi ti ho amato? Ci chiediamo che cosa sarebbe accaduto se avessimo scoperto prima la Bellezza, se non fossimo stati così ciechi, così pavidi. Può capitare con un dio, con una persona, con una passione. Tardi ti ho amato... e se fosse troppo tardi? In fondo è quel che temiamo tutti. Lo sbaglio sta tutto nel dare tanta importanza al "se". Nella vita le cose non accadono SE, accadono NONOSTANTE.

lunedì 29 novembre 2010

Venticinque

I cried the other night, I can't even say why

Sento una certa tristezza, mista a malinconia, che non so spiegarmi. Non mi manchi, figurati. Come potresti? Sto molto meglio da quando non ci sei. Non mi sono mai sentita tanto libera. Eppure c'entri ancora tu con il mio malessere. Ultimamente ho pensato spesso a te: a come mi hai illusa, e mentito, a come mi hai promesso mari e monti e non hai saputo – o voluto – mantenere alcunché. E dire che ti stavo tutta in una mano. Forse è stato proprio questo il problema: essermi fidata di te e affidata a te. Quando mi dicevi tutte quelle belle parole – che ero unica al mondo, che ero il tuo amore, che non avresti potuto vivere senza di me e che avresti voluto un figlio da me – non potevo non crederti, solo una persona completamente insensibile poteva riuscirci. Ti ho amato totalmente e profondamente. Mi hai mai amata? Vorrei tanto chiedertelo. Vorrei poter parlare con te senza litigare, senza recriminazioni né schermaglie ormai inutili. Mi hai mai amata? Io non lo credo. Stavi con me perché ti faceva comodo, perché in fondo non ero così esigente e mi accontentavo di poco, perché il mio corpo era sempre disposto a darti piacere. Sono stata la tua puttana. Vero? Avessi avuto almeno il coraggio, la decenza di ammetterlo. In fondo l'ho sempre saputo. Ne ho avuto l'intima certezza allorché la mia amica M. mi ha raccontato che non ti comporti diversamente con la tua attuale ragazza. Per te non siamo che questo, noi donne. Sei incapace di amare, e alla fine hai reso incapace di amare anche me. Per questo adesso non riesco a tenermi un uomo neanche se ci mette mano il Padreterno: non mi fido di nessuno di loro, penso che prima o poi finirebbero per farmi quello che mi hai fatto tu. Sono stata la tua puttana, adesso sono loro le mie puttane.

This one goes out to the one I love, this one goes out to the one I've left behind, a simple prop to occupy my time...

lunedì 11 ottobre 2010

Ventiquattro

Ho finito il lavoro per cui ho sudato sangue tutta l'estate, accidenti. Ho consegnato oggi le ultime cose. Neanche un'ora di riposo e ho cominciato nuovamente a lavorare. Mi sono sentita come una bambina al primo giorno di scuola.
Campagna acquisti, quest'anno, nel tempio della sapienza in cui gioco a fare la Vestale. Uno dei nuovi lo conosco molto bene, anche troppo. Ci siamo amati. Mai mi sarei aspettata razionalmente di trovarmelo davanti, in mezzo ai miei libri, seduto al mio tavolo - eppure, non so come, sapevo sarebbe avvenuto. Me lo sentivo. Cazzo.

lunedì 6 settembre 2010

Ventitre

- Il vizio dell'infelicità -

Cos'è che ci fa svegliare incazzati e indolenti? Perché usciamo di casa con tutta questa rabbia in corpo? Cinici e disillusi, ci guardiamo in cagnesco, poi ricominciamo a girare frenetici su una ruota come criceti in gabbia. Ma non ce l'ha ordinato il dottore, allora perché lo facciamo? Avete mai pensato di essere gli autori della vostra infelicità? Immagino di sì. Allora facciamo un passo avanti: non potrebbe essere che l'infelicità è un vizio, un quasi piacevole rassicurante vizio? Ciascuno di noi, almeno cinque minuti nella vita, ha provato l'ebbrezza selvaggia della felicità. Siete davvero sicuri che vorreste riprovarla ancora? La verità è che la felicità ci spaventa, è un film horror! Perché quando ti accorgi che è passata precipiti nell'angoscia come un ascensore dalle corde spezzate. Fa male cadere rovinosamente dalle vette della felicità, così ti sei assoggettato a una vita mediocre. Senza troppi sbalzi, senza troppi imprevisti, armato fino ai denti contro l'imprevedibilità della vita. Infatti la vita non bussa più alla tua porta, i giorni si somigliano tutti e da nessuna persona straordinaria accetteresti un appuntamento. Eppure sai bene che è solo dall'imprevedibilità di certi incontri che potresti arricchirti, rivoluzionarti e tornare finalmente a vivere. Ma tu non lo fai, hai paura, una maledetta paura di soffrire. È la sindrome degli angeli caduti, fratello. Ti sei costruito una gabbia con le tue mani e in fondo ti piace, non negarlo, altrimenti non riuscirai mai a spezzare le tue catene. Allora cosa fare? Rischiare tutta la vita per un giorno di gloria? Beh, forse sì, può essere solo un giorno, un mese, un anno, ma devi tenere la valigia pronta, le ferite aperte, le orecchie tese! Perché è questo quello che vuoi, me lo dicono i tuoi mugugni quando ti alzi al mattino, la tua confusa incazzatura permanente, le presunte cause della tua infelicità che attribuisci a casaccio. La mediocrità è un tuo diritto, sia chiaro; ma la ricerca della felicità, un tuo dovere. Se vuoi vivere davvero. Se vuoi essere uomo!

- Diego Cugia, aka Jack Folla -

lunedì 23 agosto 2010

Ventidue

Se andiamo per teorie mistiche, il mio lavoro è uno strumento che qualche divinità sta utilizzando per impartirmi un insegnamento. Se andiamo per teorie karmiche, sto pagando un debito che la mia anima ha contratto in qualche incarnazione precedente. Se andiamo terra terra, mi devo fare un mazzo esagerato.

venerdì 20 agosto 2010

Ventuno

Una donna crede di essersi innamorata di un uomo. Osserva con attenzione i sintomi: strani sogni, pensieri inaspettati, aspettative, lievi alterazioni biochimiche che agiscono sui suoi stati emotivi. Eppure quasi non lo conosce. Certe cose accadono solo nei libri o nei film. Ferma sulla soglia, si chiede se precipitare le procurerà, questa volta, più gioie o più ferite.

On air: CCCP, Emilia Paranoica.

mercoledì 18 agosto 2010

Venti

Nessuno lo sa, ma uno dei migliori amici di chi fa il mio lavoro - e anche di chi fa finta, come la sottoscritta - è il lessico greek-english Liddell Scott Jones, per gli intimi LSJ. Tralascio la spocchia con cui storciamo il naso approcciandoci ad un idioma barbaro (in fondo è lo stesso che abbiamo imparato cantando i Doors e i Pink Floyd, ma vuoi mettere che male al cuore vedendolo accostato all'amata lingua di Omero?), dopotutto il mondo anglosassone sembra dimostrare maggiore sensibilità classicistica rispetto a noi. C'è da dire che ogni tanto va preso con beneficio d'inventario, eh. Sempre per restare in tema, qui non c'è una lady who's sure all that glitters is gold... a riprova di questo, tra una crisi di disperazione e l'altra (metà agosto e non sono nemmeno a metà lavoro, mioddio) ho scovato su internet una chicca:

Two men wrote a lexicon, Liddell and Scott;
Some parts were clever, but some parts were not.
Hear, all ye learned, and read me this riddle,
How the wrong parts wrote Scott and the right parts wrote Liddell?

Ogni tanto gli studenti sanno essere cattivi... e ce ne sono parecchie varianti:

Two men wrote a lexicon,
Liddell and Scott;
One half was clever,
And one half was not.
Give me the answer, boys,
Quick to this riddle,
Which was by Scott
And which was by Liddell?

Questa è la mia preferita:

Two men wrote a lexicon - Liddell and Scott;
Some parts were right, some parts were not.
Now come, all ye wise men, and solve me this riddle:
Why the wrong parts wrote Scott, and the right parts wrote Liddell?

Francis Markham (Londra, 1903) spiega in proposito: The joke was, that often when at work with the Sixth, Liddell would object to the translation of, or use of, some word. The boy would reply, "Please, sir, I found it used that way in your lexicon," when Liddell would reply, "Scott wrote that part".

(una poesiola di Thomas Hardy, Liddell and Scott On the Completion of their Lexicon, si può leggere qui.)

martedì 17 agosto 2010

Diciannove

AAA cercasi impiego come assaggiatrice di cocktail alle Mauritius.

giovedì 5 agosto 2010

Diciotto

Dimmi, fratello carissimo: vivere tra questi testi, meditarli, non conoscere null'altro, non desiderare null'altro, non ti sembra già qui, sulla terra, dimorare nei regni celesti?

- Gerolamo, Epistola 53 a Paolino di Nola, 394* dC -



*forse, o forse no.

mercoledì 4 agosto 2010

Diciassette

Continua la ricerca di pdf che non riuscirò mai a scaricare col mio computer balengo. Le biblioteche stanno per chiudere (maledizione, se non vado in vacanza io non vedo perché debba farlo il resto del mondo!) e mi resta il 95% del lavoro da fare. Questo è uno di quei giorni che cominciano male e finiscono peggio... mi sono svegliata con lo spiacevole pensiero "tanto non ce la farò mai a finire tutto per tempo". Tengo duro, stringo i denti, il mio nuovo sport preferito è fare la figa scrivendo note di commento in ebraico senza sapere l'ebraico, con buona pace dei colleghi di Orientalistica.

Oggi è successa una cosa strana. Ti ho guardato con un certo distacco, come non avevo mai fatto, e per la prima volta ti ho visto per come sei. Al di là di idealizzazioni, sentimenti, paure, aspettative. Dietro l'uomo elegante, sicuro di sé, integerrimo e fascinoso, ho visto il meccanismo ben oliato di un'apparenza che è frutto di costruzione, ponderata, artefatta. Studente modello, ragazzo brillante e di belle speranze, marito fedele, giovane padre premuroso, bella villa ereditata da famiglia benestante, sterminata cultura e - condicio sine qua non per la sopravvivenza nel nostro ambiente - grande bravura nel fingere di sapere anche quel che non si sa. Ogni giorno ti fai vedere rinchiuso nella fortezza della tua vita perfetta, ma stando ben attento a mostrarla da una sola prospettiva, quella frontale: se qualcuno provasse a guardare da un'altra angolazione, scoprirebbe che è tutto un trucco, un inganno, una magia, che quei mattoni infrangibili altro non sono che sottilissime carte da gioco. Basta un soffio di vento un po' più forte a far cadere tutto.
Ti ho visto soltanto vacillare, oggi. Ho visto quello che sei, non quello che potresti diventare. Ci stiamo studiando da due anni e d'improvviso tutto mi è chiaro. Adesso so. Non mi resta che trovare la risposta a una semplice domanda.
Voglio essere io, quel soffio di vento?

martedì 3 agosto 2010

Sedici

Postille al post precedente.
1. Per caso ho trovato online il pdf di un articolo in un periodico localizzato in una biblioteca che rimarrà chiusa fino al 30 agosto. Però mi sarebbe piaciuto toccarlo con mano: non capita tutti i giorni di doversi servire di una pubblicazione del 1898.
(maledetto Platone, riesci sempre a complicarmi la vita.)
2. Oggi ho pranzato per la prima volta col mio capo, chiamiamolo così. La mia idea di imbarazzo è più o meno questa.

Quindici

Due mesi per partorire uno straccio d'idea intelligente e mettere giù uno progetto vagamente decoroso. Due mesi per un lavoro che normalmente si fa in sei.
Due mesi, e già sono passati quindici giorni.

L'aria della città che ho odiato e che oggi, dopo tre anni, sono giunta a sentire casa è fresca, stasera. La luce artificiale di una lampadina prossima a fulminarsi - una delle ultime lampadine a incandescenza, fine di un'epoca... bah - rischiara una camera da letto che profuma di ammorbidente, di bucato steso sul balcone, di lenzuola pulite. Fuori si vedono persino le stelle. Non male, per un comune da un milione di abitanti.
Ho ceduto alla tentazione della nicotina. Una sigaretta, una sola, giusto per ricordarmi com'era il gusto. Per ripensare a com'ero quando accenderne una era la mia coccola serale - un rito pagano di purificazione, un sacrificio di fumo per propiziarmi non so quale divinità, o forse solo una grande idiozia. Che importa? Sono pur sempre una ex-tabagista.

C'è che ho paura. Se mantieni la calma quando tutti intorno a te l'hanno persa vuol dire che non hai ben afferrato la situazione, dicono. E se così fosse? Se avessi messo troppa carne al fuoco? Se mi fossi sobbarcata un lavoro troppo difficile, se non fossi all'altezza delle aspettative? Mi sto giocando le fatiche di tre anni in questi due mesi.
E poi c'è una storia su cui non avrei scommesso un centesimo, che ancora non è neanche una vera storia, che può diventare tutto e il contrario di tutto... l'attimo di sospensione tra potenza ed atto è estenuante, alle volte. E senza averlo preventivato ti ritrovi in quella fase agghiacciante in cui non fai che chiederti: mi richiamerà?

Basta, troppa roba. Troppi pensieri.

lunedì 12 luglio 2010

Quattordici

Dici in una frase «Platone e Aristotele» e ti senti rispondere «Bello, mi piace che lei abbia detto prima Platone e poi Aristotele, è significativo»... significativo di cosa? L'interlocutore, platonico, ha amato credere che fossi platonica anch'io; ma io, aristotelica, stavo semplicemente citandoli in ordine.

Sono seduta sul mio letto e mangio pasta con pomodorini, mais, parmigiano e paprika direttamente dalla zuppiera. Sono reduce da una mattinata alle prese con trimetri giambici, itifalli, anapesti, tetrametri ionici a minore, pentametri dattilici, proceleusmatici, pentabrachi (Dio, pensavo fosse più facile incontrare il chupacabras che vederne uno, invece ne ho trovati due in poche righe), epitriti, peoni, coriambi, spondei e cretici... basta, pietà. Però è divertente. Quando ti metti col tuo bravo foglietto a calcolare le lunghe e le brevi sembra di dover risolvere un'equazione. Mi piace mi piace.

Non so che cosa voglio scrivere, di preciso. Questo post non ha alcun senso. Però sono tanto pigra che non ho neppure voglia di cliccare su annulla.

venerdì 4 giugno 2010

Tredici

«Ora tu pensa: un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu sai che sono 88, su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro. Tu sei infinito, e dentro quei tasti, infinita è la musica che puoi suonare. Loro sono 88, tu sei infinito. Questo a me piace. Questo lo si può vivere. Ma se tu, ma se io salgo su quella scaletta, e davanti a me si srotola una tastiera di milioni di tasti, milioni e miliardi di tasti, che non finiscono mai, e questa è la verità, che non finiscono mai e quella tastiera è infinita... se quella tastiera è infinita, allora su quella tastiera non c'è musica che puoi suonare. Tu sei seduto sul seggiolino sbagliato: quello è il pianoforte su cui suona Dio. Cristo, ma le vedevi le strade? Anche solo le strade. Ce n'è a migliaia, come fate voi laggiù a sceglierne una, a scegliere una donna, una casa, una terra che sia la vostra, un paesaggio da guardare, un modo di morire? Tutto quel mondo, quel mondo addosso che nemmeno sai dove finisce e quanto ce n'è. Non avete mai paura, voi, di finire in mille pezzi solo a pensarla, quell'enormità, solo a pensarla?»

- Novecento, Alessandro Baricco -

Dodici

Sabato, presumibilmente, sarà l'ultima volta in cui vedrò uno degli amori della mia vita. Ho pensato a lungo a lui. Quando tra noi è finita, mi sono interrogata per molto tempo sulla natura dei miei sentimenti nei suoi confronti. Ero arrivata alla conclusione che non lo amassi realmente – mi sono detta che amavo il mio ex per interposta persona. Oggi mi chiedo: e se questa fosse solo una pietosa bugia che mi sono raccontata per proteggermi da una verità troppo dura da accettare? La verità, la verità. Secondo qualcuno esiste a prescindere dalla percezione che ne abbiamo. Io tendo a non essere così ottimista – mi attengo ai fatti, ma non credo che stavolta possa bastare. Quali sono i fatti? Forse lo amavo davvero, ma non abbastanza da non fare la scelta sbagliata. Forse ho solo fatto la cazzata più grande dei miei primi diciott'anni di vita. Ed ecco, dopo tanto tempo, la mia adolescenza ormai è morta ed io vivo. Che cosa prova adesso per me, lui? Mi pensa ancora? Mi odia ancora? Mi ama ancora? O si è semplicemente dimenticato di me?

Non so che cosa mi aspetto di ottenere, dopodomani mattina.

mercoledì 2 giugno 2010

Undici

Sono chiusa in camera dopo una serata sudamericana con alcune amiche. Catrame 4 mg, nicotina 0,4 mg, monossido di carbonio 5 mg: ho smesso di fumare due anni fa, ma tre sigarette stasera me le sono regalate. Roba leggera, in confronto a quelle dei tempi d'oro sembra di fumare aria. Il mio ex mi faceva una testa così, nonostante fosse molto più tabagista di me: «Eh, solo perché io faccio minchiate non vedo perché devi farle anche tu». Non arrivava a comprendere che potessi compiere una determinata azione, giusta o sbagliata che fosse, per mia scelta, a prescindere da lui. Non ha mai capito che il mondo non smette di girare non appena lui esce da una stanza.
A quest'ora ci sono 26° C. Estate, finalmente. Nonostante lo smog ed i pollini, l'aria mi sembra dolce. Il tabacco ha un buon sapore, con buona pace degli integralisti anti-fumo. Ascolto i Buena Vista Social Club e cedo alla tentazione dei ricordi. Leggo l'ultimo articolo della mia vicina di casa: non imparerà mai a scrivere. E' la classica persona che ha-bisogno-di-far-vedere-agli-altri-quanto-è-brava-lei; è così giù di paroloni che non vogliono dire nulla, solo per darsi un tono. Peccato che la cultura sia come la marmellata sul pane... meno ne hai, più la spalmi.

Da pochi minuti è il secondo giorno di giugno. Buon compleanno, repubblica italiana.

martedì 25 maggio 2010

Dieci

Ho capito cos'è che mi piace tanto delle Confessiones.
Agostino parla di sé, parla della creazione, e nel suo microcosmo di uomo ritrova il macrocosmo del mondo e del divino. Nelle sue riflessioni, nei suoi ricordi, nelle sue confessioni umane, troppo umane, come ha detto Fontaine ricordandosi di Nietzsche - ironia della sorte, quel medesimo fustigatore della morale che in quest'opera ritrovava «falsità e retorica sorpassata» - si delinea per contrasto quella che Michele Pellegrino ha definito «un'autobiografia di Dio». L'uomo si rivolge nella propria interiorità e vi trova già insediata la divinità. «Quando prego gli parlo, quando leggo egli mi parla», scriveva Cipriano. E' così anche per le Confessiones. E la cosa più bella, anche per me che non sono cattolica, è che in questo continuo gioco di rimandi tra l'io e il dio si riflette proprio l'idea che per Agostino è stata più difficile da capire e da accettare: nelle parole del retore di Tagaste acclamato vescovo a furor di popolo, la parola si fa carne, la carne si fa logos. Verbum caro factum est.

giovedì 13 maggio 2010

Nove

Piove sotto la doccia bollente e piove fuori, sulla mia città allagata dall'ennesimo temporale di una primavera che proprio non vuole saperne di arrivare (primavera que no llega, cantavano i Jarabe De Palo qualche anno fa). Solo dai miei occhi non piove.

Cadi, pioggia. Lava via lo smog di questa odiosamata metropoli che mi ha vista crescere, fammi respirare un po'. Cadi sui miei occhi che non riescono a piovere. Cadi sulle mie illusioni, lava via le mie speranze inutili, cancella l'amore provato per chi non sa che farsene. Piovi, dannazione, piovi. Annega le parole che non dirò e fammi dimenticare i sogni che non si realizzeranno e le storie che non vivrò mai. Non smettere, continua a cadere, assorda questa casa vuota e non permettermi di ascoltare il mio silenzio. Piovi anche questa notte, desta dal sonno chi non ha ascoltato le mie parole, sveglialo con un sussulto e fallo pensare a me, una volta nella vita, una soltanto. Che si chieda dove sono, con chi, se sono felice. Che si chieda se gli manco e si risponda che no, non ci penso mai.

E' uscito il sole.

martedì 11 maggio 2010

Otto

Ho appena finito di tradurre dal latino il primo libro delle Confessiones di Aurelio Agostino. Apparentemente è facile, a parte quando il buon retore-riciclato-vescovo si mette a snocciolare termini neoplatonici. In ogni caso amo profondamente quest'opera, che ho scoperto l'estate scorsa e cui mi sto riavvicinando adesso con qualche strumento concettuale in più. Non serve essere credenti per lasciarsi trascinare dalla passionalità e dalla sensibilità esasperata di un uomo che ha dato una risposta straordinaria a quella che per tutti noi è, semplicemente, la ricerca del senso.
No, non è solo questo, mentirei se sostenessi soltanto che sono affascinata dalla personalità di un uomo di quarantatré anni che nel bel mezzo di un impero allo sfascio ha scritto il primo Bildungsroman della storia letteraria europea, intercalandolo con grandiose digressioni filosofiche e teologiche, prefigurando in certi tratti quella che è la nostra psicologia del profondo, commuovendosi e facendo commuovere millesettecento anni di lettori con le sue riflessioni sulla bellezza ed i suoi canti d'amore per la forma più alta d'Amore che è riuscito a concepire. Non è solo questo. E allora cosa?
C'è che io mi sono innamorata. Mi sono innamorata delle lettere e dello studio. Amo quello che faccio. Amo studiare. Provo un piacere quasi fisico nel meditare testi in lingue solo pregiudizialmente "morte", che acquistano nuova vita tra le mie mani che si muovono su un foglio imbrattato d'inchiostro e sudore o su una tastiera. Amo passare le notti a leggere e scoprire che un uomo di duemila anni fa, lontanissimo per cultura, spiritualità, origini, idee politiche, non è diverso da me per esperienze e sentimenti. Tutti ci siamo sentiti come in quel frammento greco che reca scritto «Non ho ancora diciannove anni e già sono stanco di vivere», tutti abbiamo avuto le reazioni di smarrimento di fronte alla persona amata che ebbero Saffo e Catullo, tutti abbiamo sperimentato l'inquietudine e l'angoscia di un mondo senza più centro - dai rivolgimenti politico-sociali dell'ellenismo al vertiginoso cadere in cielo di Pascoli, fino ai giorni nostri, il passo è più breve di quel che sembri. Mi sono innamorata, sic et simpliciter. Mi sono resa conto di non aver mai amato un uomo nel modo in cui amo lo studio, il sapere. Philo-sophia: non è forse questo?

domenica 2 maggio 2010

Sette

"Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora io reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall'altro. Gli uni sono la mia patria, gli altri i miei stranieri".

- Don Lorenzo Milani -

venerdì 30 aprile 2010

Sei

Domani dovrei andare al corteo del primo maggio nel capoluogo della mia regione, ma penso cambierò destinazione: ci sarà anche il mio ex, bontà sua. Va bene che sono passata dallo status "cornificata inconsolabile" a quello "grasse risate vedendo la ragazza con cui esce adesso", ma - come si suol dire - preferisco non andarmela a cercare. Posso tranquillamente manifestare da un'altra parte. L'ultima volta che ci siamo visti (sempre per una questione politica: era il 25 aprile) è stato oltremodo imbarazzante.
Bello che, dopo esserci lasciati malissimo (o meglio: l'ho lasciato io per sfinimento, nemmeno la soddisfazione di dirmi che era finita mi ha dato), è riuscito a dirmi «Restiamo amici»... come no, intanto quando c'incontriamo non siamo in grado neppure di salutarci senza mandarci tacitamente a Quel Paese. Dio, come detesto questa ipocrisia, questo suo volere a tutti i costi restare in-buoni-rapporti-per-modo-di-dire. Abbi il coraggio delle tue azioni, maledizione. Possiamo continuare ad avere le medesime idee politiche e a credere nei medesimi ideali anche se non facciamo i "separati consensuali" ogni volta che ci vediamo. Ma certo, lui non può permettersi di fare una figuraccia di fronte ai compagni della sezione di partito. Ergo, deve recitare la parte del bravo ragazzo politically correct anche nei sentimenti. Si fa ma non si dice...

Fortunatamente il canale RadioRai FiloDiffusione Auditorium è molto utile per mettermi in pace con il mondo. Ti amo, Antonín Leopold Dvořák.

martedì 27 aprile 2010

Cinque

In biblioteca, seduto di fronte a me, c'è sempre un vecchietto. Credo sia un professore in pensione. Prende una pila di libri sull'Apocalisse di Giovanni, legge, scrive lentamente su fogli bianchi A4 con una di quelle grafie di una volta che a scuola non insegnano più. Non so neanche come si chiami. Mi dice «Buongiorno» con un sorriso e mi rallegra la giornata.

Quattro

Questa, in teoria, era la prima mattina in cui potevo dormire da dieci mesi a questa parte. Naturalmente alle sei meno cinque ero già in piedi.
Ieri mi hanno chiesto se voglio cambiare settore di studio. Strano come le cose possano cambiare in fretta: qualche mese fa ero poco più che una sfigata, adesso ho due dipartimenti che mi fanno la corte. Beh, c'è anche da dire che in questo periodo ho lavorato bene. Di solito tendo a mantenere un basso profilo, ma qui posso permettermi il lusso di accantonare per un attimo la modestia... e allora sì, diciamolo (anzi, scriviamolo): in questo periodo ho dato il massimo ed ho ottenuto risultati commisurati al mio impegno. Sono stata brava. E la cosa più bella è che l'ho fatto per me, senza pensare al riconoscimento esterno. Per me, per me soltanto. Ogni tanto bisogna essere un po' ego-centrici, nella vita...

Sono quasi le sette e direi che posso andare a fare colazione, sempre che trovi ancora qualcosa in frigo.

lunedì 26 aprile 2010

Tre

... e scopri che ti sei stancata di essere sempre tu a cercare le persone, di sentire che la loro vita senza di te è la stessa. Accorgerti di essere stanca, così, di colpo, è come una bolla di luce accecante che ti si spacca nel cervello - più o meno come quando un bel mattino ti svegli accanto al tuo uomo e capisci che vuoi più di quello che è in grado di darti.

Stai zitta per un po', senza saper che cosa fare.

E ad un certo punto pensi: ma andate a farvi fottere tutti quanti.

domenica 25 aprile 2010

Due

Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato. Ed ecco, tu eri dentro di me ed io ero fuori e là ti cercavo; su queste belle cose che hai creato, mi gettavo deforme. Tu eri con me, ed io non ero con te. Mi tenevano lontano da te quelle creature che se non fossero in te non esisterebbero. Mi hai chiamato, hai gridato e hai rotto la mia sordità; hai balenato, hai manifestato il tuo splendore e hai dissipato la mia cecità; hai diffuso il tuo profumo, e ho respirato e anelo a te; ho gustato e ho fame e sete; mi hai toccato, e ho bruciato nella tua pace.

- Agostino -

Uno

Scrivere. Di nuovo, dopo anni di silenzio. Su una nuova piattaforma, benché mi facciano tutte abbastanza schifo – è che si torna sempre sul luogo del delitto. Non so che cosa dire, in realtà, ma ho un bisogno viscerale di scrivere. Mi dolgono le dita dal bisogno che ho di batterle sui tasti per riversare i miei pensieri su uno schermo che nessuno leggerà. Il bello è proprio questo, la riservatezza: qui ci sono solo io, sto con me e mi basto. Quanto durerà, stavolta? Non m'interessa saperlo. In fin dei conti, non posso sempre pianificare tutto.
Però, ripensandoci, sarebbe bello un blog a tempo – dirmi fin dall'inizio: ok, da oggi fino al tale giorno sono qui, non un secondo di più e poi chiudo tutto, chi c'è c'è. Sarei anche capace di farlo. Staccare prima di essermi stancata, chiudere la pagina prima di averla fatta morire di noia, perché no?

Visto che, malgrado tutto, se si tiene un blog si deve avere almeno un minimo di narcisismo e di voglia di esporsi, sarebbe interessante cominciare con uno di quei post del tipo “mi presento”, in cui spieghi chi sei-cosa fai-vita-morte-miracoli anche se a nessuno importa (sei miliardi e mezzo di persone e siamo tutti estranei, sarebbe carino se non fosse agghiacciante).
Allora: non ho la più pallida idea di chi io sia. Ho letto appena un po' di Pirandello e mi è bastato per andare fuori di testa anch'io con tutta questa storia delle maschere. A volte ho l'impressione di non sapere se il mondo che mi circonda sia reale o se esista solo nella mia testa, come un parto – di dubbio gusto, questo è certo – della mia ragione. Sono una donna, ma anche una bambina. Ci sono giorni in cui mi sembra di avere già vissuto mille anni ed altri in cui non me ne sento neanche venti. Sono giovane e vecchia, ingenua e saggia, tutto contemporaneamente. Sono nata e cresciuta al nord, ma il sangue dei miei antenati spagnoli e saraceni ogni tanto mi trasforma in un curioso essere quasi lontanamente mediterraneo. La verità? Per anni sono stata chiunque gli altri volevano che io fossi. Il mio più grande talento è fingermi un'altra per compiacere le persone che amo. E a furia di fingere ho dimenticato chi fossi davvero – va a finire che la vera me è l'altra. Ho mille nomi e altrettante facce, ma nessuna corrisponde perfettamente all'immagine riflessa nel mio specchio. Ma se fosse soltanto un problema dei miei occhi?