martedì 3 agosto 2010

Quindici

Due mesi per partorire uno straccio d'idea intelligente e mettere giù uno progetto vagamente decoroso. Due mesi per un lavoro che normalmente si fa in sei.
Due mesi, e già sono passati quindici giorni.

L'aria della città che ho odiato e che oggi, dopo tre anni, sono giunta a sentire casa è fresca, stasera. La luce artificiale di una lampadina prossima a fulminarsi - una delle ultime lampadine a incandescenza, fine di un'epoca... bah - rischiara una camera da letto che profuma di ammorbidente, di bucato steso sul balcone, di lenzuola pulite. Fuori si vedono persino le stelle. Non male, per un comune da un milione di abitanti.
Ho ceduto alla tentazione della nicotina. Una sigaretta, una sola, giusto per ricordarmi com'era il gusto. Per ripensare a com'ero quando accenderne una era la mia coccola serale - un rito pagano di purificazione, un sacrificio di fumo per propiziarmi non so quale divinità, o forse solo una grande idiozia. Che importa? Sono pur sempre una ex-tabagista.

C'è che ho paura. Se mantieni la calma quando tutti intorno a te l'hanno persa vuol dire che non hai ben afferrato la situazione, dicono. E se così fosse? Se avessi messo troppa carne al fuoco? Se mi fossi sobbarcata un lavoro troppo difficile, se non fossi all'altezza delle aspettative? Mi sto giocando le fatiche di tre anni in questi due mesi.
E poi c'è una storia su cui non avrei scommesso un centesimo, che ancora non è neanche una vera storia, che può diventare tutto e il contrario di tutto... l'attimo di sospensione tra potenza ed atto è estenuante, alle volte. E senza averlo preventivato ti ritrovi in quella fase agghiacciante in cui non fai che chiederti: mi richiamerà?

Basta, troppa roba. Troppi pensieri.

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