Agostino parla di sé, parla della creazione, e nel suo microcosmo di uomo ritrova il macrocosmo del mondo e del divino. Nelle sue riflessioni, nei suoi ricordi, nelle sue confessioni umane, troppo umane, come ha detto Fontaine ricordandosi di Nietzsche - ironia della sorte, quel medesimo fustigatore della morale che in quest'opera ritrovava «falsità e retorica sorpassata» - si delinea per contrasto quella che Michele Pellegrino ha definito «un'autobiografia di Dio». L'uomo si rivolge nella propria interiorità e vi trova già insediata la divinità. «Quando prego gli parlo, quando leggo egli mi parla», scriveva Cipriano. E' così anche per le Confessiones. E la cosa più bella, anche per me che non sono cattolica, è che in questo continuo gioco di rimandi tra l'io e il dio si riflette proprio l'idea che per Agostino è stata più difficile da capire e da accettare: nelle parole del retore di Tagaste acclamato vescovo a furor di popolo, la parola si fa carne, la carne si fa logos. Verbum caro factum est.
Sei la mia nostalgia di saperti inaccessibile nell'istante stesso in cui ti afferro
martedì 25 maggio 2010
giovedì 13 maggio 2010
Nove
Piove sotto la doccia bollente e piove fuori, sulla mia città allagata dall'ennesimo temporale di una primavera che proprio non vuole saperne di arrivare (primavera que no llega, cantavano i Jarabe De Palo qualche anno fa). Solo dai miei occhi non piove.
Cadi, pioggia. Lava via lo smog di questa odiosamata metropoli che mi ha vista crescere, fammi respirare un po'. Cadi sui miei occhi che non riescono a piovere. Cadi sulle mie illusioni, lava via le mie speranze inutili, cancella l'amore provato per chi non sa che farsene. Piovi, dannazione, piovi. Annega le parole che non dirò e fammi dimenticare i sogni che non si realizzeranno e le storie che non vivrò mai. Non smettere, continua a cadere, assorda questa casa vuota e non permettermi di ascoltare il mio silenzio. Piovi anche questa notte, desta dal sonno chi non ha ascoltato le mie parole, sveglialo con un sussulto e fallo pensare a me, una volta nella vita, una soltanto. Che si chieda dove sono, con chi, se sono felice. Che si chieda se gli manco e si risponda che no, non ci penso mai.
E' uscito il sole.
martedì 11 maggio 2010
Otto
Ho appena finito di tradurre dal latino il primo libro delle Confessiones di Aurelio Agostino. Apparentemente è facile, a parte quando il buon retore-riciclato-vescovo si mette a snocciolare termini neoplatonici. In ogni caso amo profondamente quest'opera, che ho scoperto l'estate scorsa e cui mi sto riavvicinando adesso con qualche strumento concettuale in più. Non serve essere credenti per lasciarsi trascinare dalla passionalità e dalla sensibilità esasperata di un uomo che ha dato una risposta straordinaria a quella che per tutti noi è, semplicemente, la ricerca del senso.
No, non è solo questo, mentirei se sostenessi soltanto che sono affascinata dalla personalità di un uomo di quarantatré anni che nel bel mezzo di un impero allo sfascio ha scritto il primo Bildungsroman della storia letteraria europea, intercalandolo con grandiose digressioni filosofiche e teologiche, prefigurando in certi tratti quella che è la nostra psicologia del profondo, commuovendosi e facendo commuovere millesettecento anni di lettori con le sue riflessioni sulla bellezza ed i suoi canti d'amore per la forma più alta d'Amore che è riuscito a concepire. Non è solo questo. E allora cosa?
C'è che io mi sono innamorata. Mi sono innamorata delle lettere e dello studio. Amo quello che faccio. Amo studiare. Provo un piacere quasi fisico nel meditare testi in lingue solo pregiudizialmente "morte", che acquistano nuova vita tra le mie mani che si muovono su un foglio imbrattato d'inchiostro e sudore o su una tastiera. Amo passare le notti a leggere e scoprire che un uomo di duemila anni fa, lontanissimo per cultura, spiritualità, origini, idee politiche, non è diverso da me per esperienze e sentimenti. Tutti ci siamo sentiti come in quel frammento greco che reca scritto «Non ho ancora diciannove anni e già sono stanco di vivere», tutti abbiamo avuto le reazioni di smarrimento di fronte alla persona amata che ebbero Saffo e Catullo, tutti abbiamo sperimentato l'inquietudine e l'angoscia di un mondo senza più centro - dai rivolgimenti politico-sociali dell'ellenismo al vertiginoso cadere in cielo di Pascoli, fino ai giorni nostri, il passo è più breve di quel che sembri. Mi sono innamorata, sic et simpliciter. Mi sono resa conto di non aver mai amato un uomo nel modo in cui amo lo studio, il sapere. Philo-sophia: non è forse questo?
domenica 2 maggio 2010
Sette
"Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora io reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall'altro. Gli uni sono la mia patria, gli altri i miei stranieri".
- Don Lorenzo Milani -
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