domenica 26 dicembre 2010

Ventisette

Ho scovato un mio scritto di qualche tempo fa:

04/03/2009 h. 13:07

Oggi abbiamo fatto un discorso sulla fede. Per la verità hai parlato solo tu, io sono stata zitta. Non credere però che non stessi ascoltando, o che ci pensassi solo in maniera superficiale: lungi dal toccarmi tangenzialmente, l'argomento mi interessa, eccome. Io mi definisco atea, razionalista e materialista, e questo è noto ai più. L'approccio religioso mi è estraneo. Eppure le religioni mi hanno affascinata fin da quando ero piccola e continuano ad esercitare un certo ascendente su di me. Ai miei amici giustifico tutto con una battuta come «il nemico per combatterlo devi conoscerlo», ma non è del tutto vero. Non è solo questo, almeno. Perché io posso dare contro alle religioni – qualsivoglia siano – finché voglio, attaccarne lo spirito, riempirmi la bocca di Opium des Volks e quant'altro; ma il problema di fondo è differente, e molto più serio. Il punto è che qualcuno riesce a crederci, in un creatore. Chiamalo Dio, Allah, Jahweh, Geova, Zeus, Odino, Osiride, Brahman, Grande Spirito, Magna Mater, Anima del Mondo o come ti pare. E non è solo il popolino incolto a crederci, quindi non si può nemmeno giustificare ciò con la semplice ignoranza. Quel che io mi chiedo è: come si fa? Come si può? Se domandi a qualcuno «Perché credi in Dio?» la risposta quasi sicuramente sarà «Perché ho fede», non importa se a parlare sia un pastore del Tagikistan o un ingegnere nucleare norvegese. Ma che cos'è la fede? Come nasce, dove, e perché? Io non lo so. Ben lungi da chi afferma «L'ateo è caro a Dio perché lo cerca sempre», devo tuttavia ammettere che talvolta, amico mio, vorrei avere questa strana fede che tu porti con te. Un po' invidio la tua serenità, i tuoi occhi che brillano quando ne parli. Chissà, forse stai meglio tu che hai il tuo dio, rispetto a me che mi devo far bastare me stessa.

Ventisei

Sero te amavi, pulchritudo tam antiqua et tam nova, sero te amavi. Et ecce intus eras et ego foris et ibi te quaerebam et in ista formosa, quae fecisti, deformis irruebam. Mecum eras, et tecum non eram. Ea me tenebant longe a te, quae si in te non essent, non essent. Vocasti et clamasti et rupisti surditatem meam, coruscasti, splenduisti et fugasti caecitatem meam, fragrasti, et duxi spiritum et anhelo tibi, gustavi et esurio et sitio, tetigisti me, et exarsi in pacem tuam.

Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato. Ed ecco, tu eri dentro e io fuori e là ti cercavo, e sulle belle forme delle cose che tu hai fatto, io deforme mi gettavo. Eri con me, e io non ero con te. Mi tenevano lontano da te quelle cose che, se non fossero in te, non esisterebbero. Hai chiamato, hai gridato e hai rotto la mia sordità, hai brillato, hai sfavillato e hai dissipato la mia cecità, hai sparso il tuo profumo, ho respirato e anelo a te, ho gustato e ho fame e sete, mi hai toccato e ho bruciato nella tua pace.

- Agostino, Confessiones X, 27, 38 -


Ho approntato una traduzione sul momento (i miei superiori direbbero "sull'impronta", "sull'unghia" o "di servizio", e ormai sto cominciando ad usare queste espressioni anch'io), ma nulla può eguagliare l'incomparabile bellezza dell'originale. Il latino di Agostino è particolare, vibrante, emozionale ed emozionante, retorico e sfavillante - non per niente da un'oscura borgata dell'odierna Algeria era giunto alla corte degli imperatori di Milano, non senza essere passato per Cartagine e Roma - e nelle Confessioni queste caratteristiche si esprimono alla massima potenza. Vi si coglie tutto il tormento interiore dell'uomo che si riconosce peccatore, che è lacerato dalla dicotomia "desidero il bene e faccio il male", e tutta la meraviglia generata dall'incontro con la Bellezza. Poche frasi sanno commuovermi come sero te amavi, pulchritudo tam antiqua et tam nova, densa di stupore e malinconia che formano un intreccio inscindibile. Non è una questione di essere credenti o meno, non conta essere cristiani, islamici, ebrei, buddhisti, Hare Krishna, atei, agnostici o chissà che altro: le parole di Agostino esprimono sensazioni che tutti abbiamo provato, paure che tutti abbiamo conosciuto, contraddizioni che sono radicate nel profondo di noi stessi e che esprimono la quintessenza della nostra umanità. Quante volte ci sorprendiamo a pensare, anche noi, tardi ti ho amato? Ci chiediamo che cosa sarebbe accaduto se avessimo scoperto prima la Bellezza, se non fossimo stati così ciechi, così pavidi. Può capitare con un dio, con una persona, con una passione. Tardi ti ho amato... e se fosse troppo tardi? In fondo è quel che temiamo tutti. Lo sbaglio sta tutto nel dare tanta importanza al "se". Nella vita le cose non accadono SE, accadono NONOSTANTE.

lunedì 29 novembre 2010

Venticinque

I cried the other night, I can't even say why

Sento una certa tristezza, mista a malinconia, che non so spiegarmi. Non mi manchi, figurati. Come potresti? Sto molto meglio da quando non ci sei. Non mi sono mai sentita tanto libera. Eppure c'entri ancora tu con il mio malessere. Ultimamente ho pensato spesso a te: a come mi hai illusa, e mentito, a come mi hai promesso mari e monti e non hai saputo – o voluto – mantenere alcunché. E dire che ti stavo tutta in una mano. Forse è stato proprio questo il problema: essermi fidata di te e affidata a te. Quando mi dicevi tutte quelle belle parole – che ero unica al mondo, che ero il tuo amore, che non avresti potuto vivere senza di me e che avresti voluto un figlio da me – non potevo non crederti, solo una persona completamente insensibile poteva riuscirci. Ti ho amato totalmente e profondamente. Mi hai mai amata? Vorrei tanto chiedertelo. Vorrei poter parlare con te senza litigare, senza recriminazioni né schermaglie ormai inutili. Mi hai mai amata? Io non lo credo. Stavi con me perché ti faceva comodo, perché in fondo non ero così esigente e mi accontentavo di poco, perché il mio corpo era sempre disposto a darti piacere. Sono stata la tua puttana. Vero? Avessi avuto almeno il coraggio, la decenza di ammetterlo. In fondo l'ho sempre saputo. Ne ho avuto l'intima certezza allorché la mia amica M. mi ha raccontato che non ti comporti diversamente con la tua attuale ragazza. Per te non siamo che questo, noi donne. Sei incapace di amare, e alla fine hai reso incapace di amare anche me. Per questo adesso non riesco a tenermi un uomo neanche se ci mette mano il Padreterno: non mi fido di nessuno di loro, penso che prima o poi finirebbero per farmi quello che mi hai fatto tu. Sono stata la tua puttana, adesso sono loro le mie puttane.

This one goes out to the one I love, this one goes out to the one I've left behind, a simple prop to occupy my time...

lunedì 11 ottobre 2010

Ventiquattro

Ho finito il lavoro per cui ho sudato sangue tutta l'estate, accidenti. Ho consegnato oggi le ultime cose. Neanche un'ora di riposo e ho cominciato nuovamente a lavorare. Mi sono sentita come una bambina al primo giorno di scuola.
Campagna acquisti, quest'anno, nel tempio della sapienza in cui gioco a fare la Vestale. Uno dei nuovi lo conosco molto bene, anche troppo. Ci siamo amati. Mai mi sarei aspettata razionalmente di trovarmelo davanti, in mezzo ai miei libri, seduto al mio tavolo - eppure, non so come, sapevo sarebbe avvenuto. Me lo sentivo. Cazzo.

lunedì 6 settembre 2010

Ventitre

- Il vizio dell'infelicità -

Cos'è che ci fa svegliare incazzati e indolenti? Perché usciamo di casa con tutta questa rabbia in corpo? Cinici e disillusi, ci guardiamo in cagnesco, poi ricominciamo a girare frenetici su una ruota come criceti in gabbia. Ma non ce l'ha ordinato il dottore, allora perché lo facciamo? Avete mai pensato di essere gli autori della vostra infelicità? Immagino di sì. Allora facciamo un passo avanti: non potrebbe essere che l'infelicità è un vizio, un quasi piacevole rassicurante vizio? Ciascuno di noi, almeno cinque minuti nella vita, ha provato l'ebbrezza selvaggia della felicità. Siete davvero sicuri che vorreste riprovarla ancora? La verità è che la felicità ci spaventa, è un film horror! Perché quando ti accorgi che è passata precipiti nell'angoscia come un ascensore dalle corde spezzate. Fa male cadere rovinosamente dalle vette della felicità, così ti sei assoggettato a una vita mediocre. Senza troppi sbalzi, senza troppi imprevisti, armato fino ai denti contro l'imprevedibilità della vita. Infatti la vita non bussa più alla tua porta, i giorni si somigliano tutti e da nessuna persona straordinaria accetteresti un appuntamento. Eppure sai bene che è solo dall'imprevedibilità di certi incontri che potresti arricchirti, rivoluzionarti e tornare finalmente a vivere. Ma tu non lo fai, hai paura, una maledetta paura di soffrire. È la sindrome degli angeli caduti, fratello. Ti sei costruito una gabbia con le tue mani e in fondo ti piace, non negarlo, altrimenti non riuscirai mai a spezzare le tue catene. Allora cosa fare? Rischiare tutta la vita per un giorno di gloria? Beh, forse sì, può essere solo un giorno, un mese, un anno, ma devi tenere la valigia pronta, le ferite aperte, le orecchie tese! Perché è questo quello che vuoi, me lo dicono i tuoi mugugni quando ti alzi al mattino, la tua confusa incazzatura permanente, le presunte cause della tua infelicità che attribuisci a casaccio. La mediocrità è un tuo diritto, sia chiaro; ma la ricerca della felicità, un tuo dovere. Se vuoi vivere davvero. Se vuoi essere uomo!

- Diego Cugia, aka Jack Folla -

lunedì 23 agosto 2010

Ventidue

Se andiamo per teorie mistiche, il mio lavoro è uno strumento che qualche divinità sta utilizzando per impartirmi un insegnamento. Se andiamo per teorie karmiche, sto pagando un debito che la mia anima ha contratto in qualche incarnazione precedente. Se andiamo terra terra, mi devo fare un mazzo esagerato.

venerdì 20 agosto 2010

Ventuno

Una donna crede di essersi innamorata di un uomo. Osserva con attenzione i sintomi: strani sogni, pensieri inaspettati, aspettative, lievi alterazioni biochimiche che agiscono sui suoi stati emotivi. Eppure quasi non lo conosce. Certe cose accadono solo nei libri o nei film. Ferma sulla soglia, si chiede se precipitare le procurerà, questa volta, più gioie o più ferite.

On air: CCCP, Emilia Paranoica.