04/03/2009 h. 13:07
Oggi abbiamo fatto un discorso sulla fede. Per la verità hai parlato solo tu, io sono stata zitta. Non credere però che non stessi ascoltando, o che ci pensassi solo in maniera superficiale: lungi dal toccarmi tangenzialmente, l'argomento mi interessa, eccome. Io mi definisco atea, razionalista e materialista, e questo è noto ai più. L'approccio religioso mi è estraneo. Eppure le religioni mi hanno affascinata fin da quando ero piccola e continuano ad esercitare un certo ascendente su di me. Ai miei amici giustifico tutto con una battuta come «il nemico per combatterlo devi conoscerlo», ma non è del tutto vero. Non è solo questo, almeno. Perché io posso dare contro alle religioni – qualsivoglia siano – finché voglio, attaccarne lo spirito, riempirmi la bocca di Opium des Volks e quant'altro; ma il problema di fondo è differente, e molto più serio. Il punto è che qualcuno riesce a crederci, in un creatore. Chiamalo Dio, Allah, Jahweh, Geova, Zeus, Odino, Osiride, Brahman, Grande Spirito, Magna Mater, Anima del Mondo o come ti pare. E non è solo il popolino incolto a crederci, quindi non si può nemmeno giustificare ciò con la semplice ignoranza. Quel che io mi chiedo è: come si fa? Come si può? Se domandi a qualcuno «Perché credi in Dio?» la risposta quasi sicuramente sarà «Perché ho fede», non importa se a parlare sia un pastore del Tagikistan o un ingegnere nucleare norvegese. Ma che cos'è la fede? Come nasce, dove, e perché? Io non lo so. Ben lungi da chi afferma «L'ateo è caro a Dio perché lo cerca sempre», devo tuttavia ammettere che talvolta, amico mio, vorrei avere questa strana fede che tu porti con te. Un po' invidio la tua serenità, i tuoi occhi che brillano quando ne parli. Chissà, forse stai meglio tu che hai il tuo dio, rispetto a me che mi devo far bastare me stessa.